sogno65

SUICIDIO

Mi si è aperta

una vena nel braccio.

Flussi e riflussi

di sangue bruno

mi imbrattano le vesti.

Giostra di luci e di ombre

di parole nuove

senza timore di giudizio.

Dietro la loggia

della fronte

si assiepano

folle di occhi

curiosi.

Ho raccolto le sere della vita

in un mazzo

rifrangente.

Mazzo di

tempi senza tempo

di

spazi senza spazio.

Orde di secoli

cavalcano

senza direzione.

Orizzonte

di sguardi divini

impresso negli occhi

dell’amico più caro

morto bambino.

Inginocchiati

croce

di api regine.

Ma croce di lutti

non chiede perdono.

Candela spenta

allunghi rami scarni

sulle bianche tele

del tuo letto.

Foglie

sudano sangue

vibrante protesta

di megafoni intermittenti.

L’ultima inquisizione

deve ancora giungere

e noi

sappiamo solo piangere.

L’amante della frusta

porge le labbra eterne

ai grossi maiali.

Satellite

dell’orbita ellittica.

Schiavo dei servi.

Cane dai mille padroni.

La lucertola

ha il colore

della roulette.

Lo spessore di un ago

o la distanza tra

due mondi

non giungono a baciare

la goccia d’acqua

morta

per troppa siccità.

La nave del tempo rotondo

ha varcato

il foro del cielo.

C’è chi dice che vola

ma i barattoli di carne

possono solo precipitare.

La sedia impagliata

ha salutato

il mestolo di rame.

Fine del periodo

agreste.

La spina e la lancia

hanno lanciato la sfida.

Si muore per entrambe.

Il colle

è colmo di croci e

i parenti brindano

all’anno nuovo

testimone

di mille nuove vecchiaie.

Le lancette dell’orologio

girano indietro

ma il sole non torna.

La clessidra

galleggia

nelle acque salmastre

del letto confinante.

Seni lucidi

ed occhi di città

sospese

su baratri deformi.

Instabilità

di coerenze remote

vacillanti

su labbra socchiuse.

Cateratte

figlie di improvvisazioni.

L’alba reclina il capo

cosciente figlia

dell’ultimo tramonto.

E il viaggio continua.

Sulla sfera cromata

passeggeranno

i robot.

Cuori di metallo

senza palpitazioni.

Penultimo gradino

di un viaggio

senza senso.

Senza contaminazioni.

Senza vita spontanea.

Senza sguardi al passato.

Mari di petrolio

impassibili

al susseguirsi delle aurore,

verranno increspati

da venti senza stagioni.

Oh terrore

dei viaggi della mente!

Arnia deforme

colma

di larve pensanti.

Nelle pieghe del grembo

nasceranno numeri.

I fumi

del viale dei pioppi

si diradano

e mia madre

piccina

mi attende da sempre

per darmi tristezza

sotto veste

di carezze.

Vedo grappoli

di arcobaleni

multicolori.

Sento gli urli di pazzia.

L’ultima risata

è bloccata

in fondo al vicolo chiuso.

Mani irte di artigli

tentano

di afferrarmi.

Turbini di vento

neve gelida

di respiri invernali

cicatrici riaperte

ad ogni alito

di pensiero.

Pochi spasimi ancora

e l’inverno precoce

coprirà ogni cosa

di candida neve.

I campi di erba verde

si chiamano cimiteri.

I cristalli di vita

sono

verità di sterco.

Il cappio si stringe

al collo

delle ultime memorie.

Gruppi di vecchi infetti

vagano

tra nubi di vapore nero.

Ricordano

l’ultimo raggio di sole

nei campi di grano

che oggi sono paglia.

C’è una vita che nasce

da sussulti d’acqua limpida.

Uno sguardo alla paglia

può fare solo ridere.

Il fuoco della lente

è puntato

su meandri d’incoscienza.

Il collo del nibbio

ha il colore

degli urti violenti.

La palude senza scogli

è immersa

nella nebbia gialla.

Malinconico terrore

di monotonie perenni.

La caduta dello

spalto tarlato

su punte di lancia

non porta dolore.

Le ossa stridono

in un vortice di asfalto.

Assopirsi ora

senza pugnali

che tormentino le costole!

Senza sognare

la fine del sogno.

Senza che musiche dolci

lascino in bocca

solo

sapore d’amaro.

Tristezze fasciate

da bende illusorie.

Civiltà

di pianeti estinti.

Tutto chiuso nel pugno

dell’uomo di fango.

L’aristocratica cattura

di un pensiero diverso

è frutto di risa.

Professori eccelsi

incapaci a pensare

trasmettono

leggi di cattedra

derise in passato.

Mi si è aperta

una vena nel braccio

ma il fiume

non si colora mai di rosso.