
SUICIDIO
Mi si è aperta
una vena nel braccio.
Flussi e riflussi
di sangue bruno
mi imbrattano le vesti.
Giostra di luci e di ombre
di parole nuove
senza timore di giudizio.
Dietro la loggia
della fronte
si assiepano
folle di occhi
curiosi.
Ho raccolto le sere della vita
in un mazzo
rifrangente.
Mazzo di
tempi senza tempo
di
spazi senza spazio.
Orde di secoli
cavalcano
senza direzione.
Orizzonte
di sguardi divini
impresso negli occhi
dell’amico più caro
morto bambino.
Inginocchiati
croce
di api regine.
Ma croce di lutti
non chiede perdono.
Candela spenta
allunghi rami scarni
sulle bianche tele
del tuo letto.
Foglie
sudano sangue
vibrante protesta
di megafoni intermittenti.
L’ultima inquisizione
deve ancora giungere
e noi
sappiamo solo piangere.
L’amante della frusta
porge le labbra eterne
ai grossi maiali.
Satellite
dell’orbita ellittica.
Schiavo dei servi.
Cane dai mille padroni.
La lucertola
ha il colore
della roulette.
Lo spessore di un ago
o la distanza tra
due mondi
non giungono a baciare
la goccia d’acqua
morta
per troppa siccità.
La nave del tempo rotondo
ha varcato
il foro del cielo.
C’è chi dice che vola
ma i barattoli di carne
possono solo precipitare.
La sedia impagliata
ha salutato
il mestolo di rame.
Fine del periodo
agreste.
La spina e la lancia
hanno lanciato la sfida.
Si muore per entrambe.
Il colle
è colmo di croci e
i parenti brindano
all’anno nuovo
testimone
di mille nuove vecchiaie.
Le lancette dell’orologio
girano indietro
ma il sole non torna.
La clessidra
galleggia
nelle acque salmastre
del letto confinante.
Seni lucidi
ed occhi di città
sospese
su baratri deformi.
Instabilità
di coerenze remote
vacillanti
su labbra socchiuse.
Cateratte
figlie di improvvisazioni.
L’alba reclina il capo
cosciente figlia
dell’ultimo tramonto.
E il viaggio continua.
Sulla sfera cromata
passeggeranno
i robot.
Cuori di metallo
senza palpitazioni.
Penultimo gradino
di un viaggio
senza senso.
Senza contaminazioni.
Senza vita spontanea.
Senza sguardi al passato.
Mari di petrolio
impassibili
al susseguirsi delle aurore,
verranno increspati
da venti senza stagioni.
Oh terrore
dei viaggi della mente!
Arnia deforme
colma
di larve pensanti.
Nelle pieghe del grembo
nasceranno numeri.
I fumi
del viale dei pioppi
si diradano
e mia madre
piccina
mi attende da sempre
per darmi tristezza
sotto veste
di carezze.
Vedo grappoli
di arcobaleni
multicolori.
Sento gli urli di pazzia.
L’ultima risata
è bloccata
in fondo al vicolo chiuso.
Mani irte di artigli
tentano
di afferrarmi.
Turbini di vento
neve gelida
di respiri invernali
cicatrici riaperte
ad ogni alito
di pensiero.
Pochi spasimi ancora
e l’inverno precoce
coprirà ogni cosa
di candida neve.
I campi di erba verde
si chiamano cimiteri.
I cristalli di vita
sono
verità di sterco.
Il cappio si stringe
al collo
delle ultime memorie.
Gruppi di vecchi infetti
vagano
tra nubi di vapore nero.
Ricordano
l’ultimo raggio di sole
nei campi di grano
che oggi sono paglia.
C’è una vita che nasce
da sussulti d’acqua limpida.
Uno sguardo alla paglia
può fare solo ridere.
Il fuoco della lente
è puntato
su meandri d’incoscienza.
Il collo del nibbio
ha il colore
degli urti violenti.
La palude senza scogli
è immersa
nella nebbia gialla.
Malinconico terrore
di monotonie perenni.
La caduta dello
spalto tarlato
su punte di lancia
non porta dolore.
Le ossa stridono
in un vortice di asfalto.
Assopirsi ora
senza pugnali
che tormentino le costole!
Senza sognare
la fine del sogno.
Senza che musiche dolci
lascino in bocca
solo
sapore d’amaro.
Tristezze fasciate
da bende illusorie.
Civiltà
di pianeti estinti.
Tutto chiuso nel pugno
dell’uomo di fango.
L’aristocratica cattura
di un pensiero diverso
è frutto di risa.
Professori eccelsi
incapaci a pensare
trasmettono
leggi di cattedra
derise in passato.
Mi si è aperta
una vena nel braccio
ma il fiume
non si colora mai di rosso.